Succede, nella vita, di morire.

Non mi riferisco all'estrema dipartita ma a quelle morti che avvengono via via. Alcune sono precedute da una lunga agonia: quando ad esempio ci ostiniamo a stare in una relazione ormai finita. Altre sono morti sul colpo: quando succede qualcosa d'inatteso e capisci che quello che è stato non sarà più.
Qualche morte è pure bella: quando ad esempio cambi casa per andare a vivere in un posto che ti piace. Ma quasi tutte, anche le migliori, contengono un po' di dispiacere per ciò che di noi è andato.
Siamo affezionati alla persona che pensiamo di essere. Ci identifichiamo con quell'immagine fino a illuderci che sia immutabile.

Una delle mie morti più imbarazzanti è avvenuta alcuni anni fa.
Dal momento che ero in giro per una serie di commissioni decisi anche di passare a riprendere il cellulare di mia figlia (allora adolescente). L' avevo portato ad aggiustare perché non funzionava bene e mi avevano avvisato che era pronto.
Una volta nel negozio, il commesso, che conoscevo perchè abitava vicino a casa mia, prese il telefonino di mia figlia e prima di consegnarmelo decise di fare una prova.
Mi disse: "Chiama dal tuo cellulare quello di tua figlia, così vediamo se funziona".
Io obbediente composi il suo numero: un gesto apparentemente innocuo, semplice, ripetuto tante volte.
Mai dare le cose per scontate. FATAL ERROR!
Praticamente fu come se avessi digitato il codice di sbocco del detonatore di un ordigno che non sapevo di avere addosso.
Il cellulare di mia figlia squillava e il commesso guardava lo schermo e rideva.
Non capivo il motivo della sua ilarità ma dentro sentivo il ticchettio del timer che segnalava l'avvicinarsi di qualcosa di brutto brutto brutto.
Poi lui ha girato lentamente verso di me lo schermo del cellulare di mia figlia in modo che lo vedessi anch'io e sghignazzando, proprio senza ritegno (c'era pure gente intorno al bancone), ha detto "Ah ah ah ah! Ti ha memorizzato nella sua rubrica come ' LA STRONZA ' !!!!!".

Questa è l'ultima cosa che ricordo prima dell'esplosione nella quale si è frantumata la mia identità di madre.
Il resto dei fatti (l'uscita dal negozio, il ritorno a casa, ecc.) si è cancellato dalla memoria come dopo un grave trauma.

Andando indietro nel tempo, la prima morte che riesco a riportare in vita (ossimoro mica da ridere!) avvenne quando avevo più o meno 4 anni.
Tutti i giorni nel tardo pomeriggio passava il lattaio. Col suo furgoncino si fermava di casa in casa a portare il latte appena munto.
Ogni famiglia gli faceva trovare il proprio contenitore al cancello, lui lo riempiva e proseguiva. Sorvoliamo sulla questione delle norme igieniche e manteniamo fissa l'attenzione sulla poesia della situazione....
Insomma, una sera la mia mamma mi chiese di portare fuori il tegamino per il latte perché era quasi l'ora dell'arrivo del lattaio.
Era la prima volta che ricevevo questo incarico e tutta orgogliosa scesi le scale tenendolo in mano. Fuori dal portone di casa, in fondo al portico, c'era il mio nonno. Lo vedevo di spalle, era seduto su uno scalino, rivolto verso la strada, aveva i gomiti poggiati sulle ginocchia e la testa tra le mani. Si metteva spesso in quella posizione a pensare. Certo non si immaginava quello che stava per succedere e sinceramente nemmeno io!
Non so dire cosa mi prese ma quando gli fui dietro mi venne un impulso irrefrenabile e gli detti una tegamata in testa.
Qualcuno adesso dirà "Cazzarola, allora ha ragione sua figlia!"... ma io ero piccola, volevo giocare e credevo che i grandi fossero invulnerabili!
Il nonno scattò in piedi bestemmiando. Guardò in alto impaurito riparandosi il capo con le mani... Poi capì che non era caduto nessun mattone dal soffitto.
Io sorridevo ingenua. Mi aspettavo che lui facesse finta di rincorrermi, ci giocavamo sempre ad acchiapparella, invece mi guardò con gli occhi pieni di rabbia e urlando si lanciò verso di me con l'evidente intenzione di picchiarmi.
Ero terrorizzata. Il nonno che mi voleva così bene si era trasformato in un mostro. Corsi di nuovo su per le scale piangendo e chiamando a squarciagola la mamma che arrivò in soccorso.
Mi rifugiai tra le sue gambe.
In famiglia questa storia torna fuori ogni tanto, e ci ridiamo ancora, ma quel giorno per me è morta l'innocenza. Avevo scoperto che le mie azioni provocavano delle conseguenze e che tali conseguenze potevano essere sconvolgenti.

 

Succede nella vita di rinascere.
Siamo immersi in un movimento spiraleggiante di vita-morte-rinascita ma abbiamo paura del cambiamento, spesso proporzionalmente a quanto ne abbiamo bisogno.
Eppure sperimentiamo di continuo che non c'è una fine senza un inizio.
Io comunque faccio sempre resistenza. La mia prima risposta è "Non voglio". A dire il vero ogni volta un po' meno...

Si sa che per rinascere ci tocca attraversare un passaggio stretto e difficile però poi, come dice una canzone di Niccolò Fabi, "..chi viene alla luce, illumina".

 

 

Questo articolo è stato letto in diretta durante la trasmissione "Matteo Caccia racconta" su Radio24 .
Ecco il link del podcast

 

 

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