In questo bar il bagno è estremamente sporco.
La porta è incrostata. Sulla turca c'è una melma che fa temere la possibilità di scivolarci dentro, lo sciacquone è un secchiello riempito con l'acqua di un rubinetto montato ad altezza caviglia, da lasciar pieno per l'avventore che viene dopo di te.
Siamo fermi in questo paese perché le strade del passo che sta sulle cime dell'Atlante sono sotto una copiosa nevicata, è già la seconda strada che tentiamo, ed anche in questa occasione siamo piombati in una coda di mezzi tra i quali indistintamente camion, carretti, veicoli sgangherati e rimaneggiati, motociclette vintage, tutti bloccati.
Non resta che aspettare.
E' rumoroso il fatto che nessuno lungo la via e nel circondario stia lanciando improperi, strombazzando, agitandosi, dando in escandescenze per il disagio e per l'imprevisto. Decisamente lontani dagli usi in voga in Europa.
Gli autisti, compreso il nostro, dopo un caffè si stanno fumando sigarette alla maniera della rassegnazione orientale sotto lo scalcinato portico, dalle espressioni dei volti non paiono subire l'angoscia e l'assillo di una ripartenza che potrebbe anche richiedere ore, o non avvenire affatto.
Compriamo bevande calde anche noi, vista la temperatura invernale. Questo locale è dotato di una macchina per l'espresso, buona sorte. Piove leggermente. E' piacevole esercitare questa inabituale pazienza, che pervade in modo benefico, circola nell'animo che si rilascia e fa sentire un po' meno il freddo semplicemente perché ... non ci pensi; ti trovi in zona straniera e il piagnisteo non si sposa alla situazione. L'urlo anche meno.
Sotto pungenti goccioline ci mettiamo in cammino quasi senza concordarlo, come un sol corpo, con ritmo lento e passo intirizzito; silente unanimità d'intento: approfittare degli eventi per guardarsi intorno, e scaldarsi col moto. Sollevo il cappuccio per riabbassarlo subito perché impedisce di vedere ciò che sta attorno, guai. Meglio captare il captabile.
Ci troviamo ad una certa altitudine, l'architettura non è orientaleggiante in questo contesto. E' un po' anonima, cubica, qualche graffito urbano.
C'è un gregge di pecore nel prato adiacente la strada. Dall'alto di un terrazzino al secondo piano, in un edificio dall'aspetto eccentrico iniziato e incompiuto ormai da tempo, un cane in perfetta posa si sporge muscoloso e rimbrotta le ovine. Fa un po' dittatore. Le ovine non lo degnano.
Spazi ampi, poco curati. Cicogne sul minareto. Percorriamo una discesa.
La coda dell'occhio di qualcuno coglie un agglomerato di tettucci di canne coperti alla bell'e meglio con teli di plastica e sacchi di iuta. Un mercato !
Non ce lo perdiamo, ma ci perdiamo.
Ognuno prende la sua via, chi attratto dai frutti colorati, chi dalla confusione del rigattiere, chi dalle terrecotte. Ci guardano come alieni, ma simpaticamente, ed è chiaro che qua facce come le nostre non si vedono spesso, pochi turisti e solo se appiedati dalla fatalità.
Evitando pozzanghere mi aggiro tra le merci, nella luce a bande, mi rilasso ancor più senza il gruppo attorno, respiro profondamente l'aria fredda ma limpida e passo-passo avverto una vera decontrazione dei muscoli, più vado più sto bene pur girando praticamente in circolo.
Costeggio anche qualcuno dei nostri che contratta animatamente una tajine nella universale lingua del commerciante fatta di ammiccamenti, sguardi, piagnisteo, gestualità, teatro, e quel filo di esagerazioni che non guasta. Ci vuole mestiere. Riuscirà nell'impresa.
Perifericamente alle bancarelle c'è chi passa con gli acquisti sui somari.
Mentre vado mi svago, nel senso di lasciare 'le solite cose che girano per la testa' al loro destino, per far parte integrante del Marocco interno, e durante questo ambientamento, che prometteva altri portenti, mi rincresce davvero apprendere che possiamo ripartire.
Tutto successo, a conti fatti, nel giro di un'ora scarsa, ma sembrava di più; rifocillati, divertiti, rilassati, rinvigoriti, strada libera, mezzi di nuovo in cammino. Grandi benefici per la circolazione.
febbraio 2023