Quest'estate ho vissuto un'esperienza illuminante. E no no, non è avvenuta durante un soggiorno in un ashram in India, bensì nel corso di un "banale" week end al mare! Tre semplici giorni con la mia amica Vanessa e la sua cagnolina, una cucciola di pastore che si chiama Polpetta.


Siccome le spiagge della costa Toscana, dove eravamo, non permettono l'accesso ai cani, abbiamo passato la nostra mini vacanza frequentando una Dog Beach.
La spiaggia aveva due zone: una libera e una attrezzata con lettini e ombrelloni. La prima mattina abbiamo scelto la parte libera, un po' perché avevamo già il nostro ombrellone ma soprattutto, perché immaginavamo (sbagliando) che Polpetta sarebbe stata più a suo agio e di conseguenza anche noi.
Il tempo di poggiare le nostre cose e la cucciola era già sul bagnasciuga a rincorrere altri cani rincorsa a sua volta da Vanessa.
Dopo una mezz'ora la situazione era questa: Polpetta scorrazzava in giro, la mia amica, in piedi, la sorvegliava, andandola a recuperare se si allontanava troppo e io seduta da sola all'ombra. C'era una strana assonanza con le mie vacanze al mare con i figli piccoli, solo che allora non ero io quella che stava all'ombra. Ah, e per la cronaca, neppure quella che scorrazzava in giro a quattro zampe.
Ad un certo punto, Polpetta, forse appagata e stanca dai giochi con gli altri cani, ha FINALMENTE seguito Vanessa sotto l'ombrellone. Sembrava che le cose si stessero mettendo bene. Io e la mia amica siamo pure riuscite a stenderci e a chiudere gli occhi! La risacca ci cullava, la lieve brezza marina ci accarezzava.
La vacanza.
La pace.
Seeee, la pace eterna! Nemmeno due minuti ed eravamo sepolte vive sotto un cumulo di sabbia!
Ma che cazz..!!!
La cucciola, alla ricerca di fresco, aveva cominciato a scavare, con una tale foga che, se non la fermavamo, la buca che si andava formando, avrebbe raggiunto dimensioni tali da inghiottire noi e alcuni dei nostri vicini.
Dopo esserci ripulite alla meglio, per mettere un punto alla nostra mattinata movimentata, abbiamo deciso di andare a pranzo al barrettino della spiaggia.
Trovato un posto ci siamo sedute e, come per miracolo, Polpetta si è infilata sotto il tavolo senza più muoversi. Un quarto d'ora, mezz'ora, un'ora.
Nonostante il caldo da capanna sudatoria (il tendone che ricopriva la terrazza del bar ci riparava dal sole ma anche da qualsiasi possibile sventolio) non avevamo il coraggio di spostarci per non perdere quello stato di grazia, nel quale, nonostante la cagnolina, stavamo incredibilmente riuscendo a mangiare e parlare tra noi senza distrazioni.
Forse il calore, forse le birre o forse entrambe le cose (non lo sapremo mai), ecco che il nostro stato di coscienza si è espanso e ci siamo accorte che nella zona attrezzata la "situazione cani" sembrava molto più gestibile.
"Senti ma....e se ci andassimo a informare sui prezzi?" mi ha proposto Vanessa. In verità avrei pagato qualsiasi cifra pur di potermi godere un pomeriggio tranquillo e così in men che non si dica eravamo in un nuovo mondo. Un mondo dove le persone stavano beatamente distese sopra i lettini e i loro cani sotto.
Non mi capacitavo di come ciò fosse possibile.
Quale magia poteva far sì che, a pochi metri di distanza, da una parte c'era il caos e dall'altra l'ordine?
Come mai nella spiaggia libera io e Vanessa avevamo dovuto fare il bagno a turno per badare Polpetta e in quella attrezzata potevamo invece farlo insieme, tanto la cucciola, seguendo i nostri movimenti con un occhio chiuso e uno aperto, non si schiodava dalla sua postazione nemmeno sotto tortura?
Cosa era cambiato?
Ci fu chiaro che la variante principale era l'organizzazione dello spazio: nella spiaggia libera non c'erano confini definiti, in quella attrezzata, le quattro file di ombrelloni e lettini, creavano una specie di struttura.
I cani e conseguentemente gli umani si avvalevano di questo "contenimento". Raramente si sentivano cani abbaiare o proprietari che alzavano la voce per richiamarli. Sembrava che ogni cane sapesse dove stare, quale posto si potesse considerare "casa" insomma.
Io e Vanessa, donne che corrono con le lupacchiotte, eravamo incredule e beate.

Nei giorni successivi, nel dolce far niente della mia posizione orizzontale, interrotta solo per tuffarmi in mare ogni tanto, sono emerse alcune riflessioni.
Come si conciliavano anni e anni passati a destrutturare abitudini limitanti e abbattere condizionamenti con quello che stavo vivendo? Tutto il mio impegno nella decostruzione di strutture che non riconoscevo più come mie, era stato equivalente a quello che avevo messo nella costruzione di nuove, più allineate alla me che via via si trasformava?
C'entrava qualcosa Saturno, maestro di chiarezza e antidoto al disordine, congiunto in questo tempo col mio Saturno di nascita, con i miei pensieri?
E soprattutto, ma perché cazzarola non guardavo le storie della gente che seguo su Instagram invece di pensare?

Una volta tornata dal week end mi sono ricordata di qualcosa che avevo letto sull'argomento e ho trovato le risposte alle mie domande (meno all'ultima ahahahah).
Nel suo libro "Istruzioni per maghi erranti 3.0" Andrea Panatta parla di un doppio sentiero, quello del disfare e quello del fare, che non possono esserci l'uno senza l'altro perché, scrive: "Se disfi ma poi non rigeneri, sarai costretto a vagare senza meta, in preda a vaghi impulsi, che non sai da dove vengono. Se fai senza prima disfare, potrai fare, e fare molto, ma alle lunghe ciò che attendeva di essere risolto nella sfocatura, i patti, le promesse, i giuramenti, gli antichi spettri degli errori del passato verranno a cercarti, distruggendo ciò che stai cercando di costruire".

Per crescere davvero, dobbiamo ribaltare le regole per crearne altre, uscire dal seminato, oltrepassare i limiti e darcene di nuovi.
Lo facciamo.
Lo faccio anch'io. A volte senza accorgermi.
Ma ora, forte delle mie due righe di teoria, proverò consapevolmente a mettere in pratica la libertà di disordinare la mia vita e poi rifarò ordine.
Sempre con timore, si.
Ma meno.

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